di Padre Luciano Lotti

Introibo ad altare Dei, salirò all’altare di Dio. Salire vuol dire impegno, sacrificio ma anche tanta umiltà. Ed è quell’umiltà che leggevo nei modi e negli atteggiamenti di Padre Pio, quando – all’età di otto, nove anni – lo vedevo ai piedi del grande altare maggiore di Santa Maria delle Grazie. Ero solo un ragazzo e probabilmente i miei erano i sentimenti di un chierichetto che vedeva le cose a modo suo, ma Padre Pio mi sembrava veramente un gigante che si faceva piccolo piccolo e al Confiteor si batteva con forza il cuore, quasi fosse il più grande peccatore del mondo.

Salire era la fatica quotidiana di Padre Pio: salire sulla croce quando celebrava (sono parole sue), salire al cielo come intercessore quando attraversava quelle sale piene di persone che, come diceva con una certa ironia, gli chiedevano di lasciargli la loro croce e non di aiutarlo a portarla; salire sul Tabor dove Gesù si trasfigurava per vivere nell’estasi quegli attimi di gioia meravigliosa, che lo rinfrancavano nei lunghi anni di notte oscura.

Hans Castorp, protagonista del romanzo di Thomas Mann La montagna delle sette balze, sale verso Davos, sulle Alpi svizzere, diretto al sanatorio Berghof, per incontrare il cugino Joachim. Il romanzo è ambientato negli anni che precedono la prima guerra mondiale: a Pietrelcina Padre Pio vive il suo dramma, sospettato di una tubercolosi mai diagnosticata che lo tiene lontano dal convento, Hans Castorp sembra la sua controfigura: anche lui soffre di tubercolosi  che lo costringe a restare sette anni in quell’albergo-sanatorio. Mentre a Pietrelcina, Padre Pio sta vivendo la sua notte oscura, deciso a rompere l’ignoto, a possedere fino infondo quel Dio misterioso che si nasconde, per Castorp Davos sarà in qualche modo il luogo di una fatica intellettuale che tarda a prendere una decisione di fronte al nuovo, all’ignoto che avanza.

Pregare è una fatica: la preghiera è faticosa perché è silenzio, la preghiera è fatica perché richiede un cuore indiviso, la vera preghiera dice maranathà, vieni Signore.

Verso la fine di gennaio a Davos, sulla montagna raccontata da Thomas Mann si è svolto il Forum economico mondiale; sono emersi i radicalismi economici, i protezionismi, ma anche messaggi di solidarietà e interesse per i più deboli. Ci vorrebbe un nuovo Thomas Mann in grado di descrivere l’uomo del XXI secolo, il distratto spettatore di tutto questo, ormai vaccinato contro tutti questi discorsi e disamorato dalla politica e dalla voglia di pensare al bene comune. Novello Hans Castorp sta lì a guardare, mentre il conto della spesa è sempre più alto e la sua pensione si corrode. Anche questa è fatica: l’incanto dei meccanismi dell’economia mondiale, le grandi sale conferenze, i lussuosi alberghi in mezzo alla neve, non ci esimono dalla fatica di un vivere quotidiano, in cui è ancora più difficile credere e pregare.

Ma anche tra quei ghiacciai ci sono le orme piagate di chi ha continuato a sperare. Dicendola col linguaggio del forum di Davos, sul quel ragazzotto vestito da frate e pieno di malattie, non c’era nulla da investire, e perfino i frati la pensavano così; infatti – pur stimandolo un santarello – gli hanno subito permesso di andare a San Giovanni Rotondo, dove, relegato su quella montagna, non sarebbe stato più un problema per nessuno. Ma la forza della sua preghiera avrebbe cambiato quel territorio arido e tante altre cose ancora. Padre Pio è un uomo che non si rassegna, la sua preghiera non si ferma fino a quando non converte, la sua preghiera è incessante e gli lacera il cuore, lo rende sensibile; la sua preghiera costruisce relazioni nuove, e giunge così, fino alla grande opera di carità che è Casa sollievo.

Oggi Padre Pio ci consegna questa preghiera caparbia, capace di costruire mondi e relazioni ben più grandi delle nostre aspettative; ci invita ad una preghiera che non sia paura, rassegnazione all’età e alle nostre incapacità, ma una preghiera forte, faticosa sì, ma consapevole che la Pentecoste non è stata il forum dei potenti, ma il dono gratuito dello Spirito a una Chiesa, impaurita sì, ma consapevole che «se il Signore non costruisce la città, invano vi faticano i costruttori».

L’articolo completo è stato pubblicato nel numero di Febbraio 2018 de “La Casa Sollievo della Sofferenza – Organo ufficiale dei Gruppi di Preghiera

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