Ricordo del 22 gennaio 1953. Estratto del quindicinale “La Casa Sollievo della Sofferenza” (1-15 febbraio 1953)

Gran folla la mattina del 22 gennaio nella chiesa del convento, nonostante il gagliardo vento diaccio che trascorreva sulla montagna; una folla che superava ogni previsione, la maggior parte già piazzata da alcune ore nei punti strategici, per poter meglio seguire la funzione.

La cerimonia è incominciata alle nove circa. Un corteo di frati si è diretto al refettorio dove Padre Pio aspettava. Eravamo schierati, i pochi lungo le pareti del corridoio del pianterreno. Abbiamo visto entrare il padre Provinciale e gli altri Padri e laici. Poco dopo ha incominciato a sfilare la processione, nell’ordine rigorosamente stabilito del rituale: prima il portatore di croce, poi due cerofori, poi i frati a due a due. In ultimo, seguito da alcuni frati che chiudevano il piccolo corteo, Padre Pio indossante cotta e stola.

Venivano a passo lento cantando il Salmo 121: «Mi rallegrai allor che fu detto: Andremo alla casa del Signore!».

Anche Padre Pio cantava seguendo il salmo su un libro. Attraversati i corridoi interni la processione è uscita sul piazzale per entrare subito in chiesa dalla porta principale tra due fitte ali di popolo.
Rimasi preso in un ingorgo, in un angolo morto da dove non si vedeva nulla. Ma sentii nitidissima la voce del Superiore chiedere al giubilando: Frate, che cosa chiedi?

Chiedo a Dio – rispose Padre Pio co voce tremula – la remissione di tutte le negligenze commesse nell’Ordine, e di cominciare da capo a perseverare nel bene per tutta la mia vita.

Il Superiore pronunciò un discorsetto, poi domandò di nuovo: Frate che cosa chiedi?

Chiedo – rispose Padre Pio – di rinnovare i voti.

Dopo il rinnovo dei voti fu intonato il salmo 132: «Oh! com’è bello e giocondo che dei fratelli abitino insieme».

E i confratelli ad uno ad uno scambiarono un abbraccio con giubilato che venne quindi accompagnato in sagrestia e vestito degli abiti sacerdotali per la messa solenne.

Contribuiva anche alla perfezione della cerimonia la coreografia dell’altare, adornato in tutti i ripiani da centinaia di rose bianche e tea, e di garofani bianchi donati dagli amici di San Remo e Valle Crosio.
La signorina Serritelli ha messo in atto per l’occasione tutta la sua competenza, distribuendo razionalmente i bellissimi fiori. Di ranuncoli, tulipani, giacinti e garofani rossi erano pure adornati gli altri altari.

Alla comunione centinaia di persone si son avvicinate alla Sacra Mensa. E anche questo è stato un sacrificio che tutti hanno voluto sopportare a dimostrazione del loro affetto, perché stare digiuni con quel freddo da zona polare non era certo piacevole.

Dopo la Messa il padre Provinciale ha letto un telegramma del Vaticano: «Ricorrendo cinquantesimo professione religiosa Padre Pio da Pietrelcina, Sua Santità invia a lui e comunità paterna benedizione apostolica implorata auspicando complesse grazie celesti e gli accorda facoltà di impartire una vice benedizione papale. F.to: Montini Pro Segretario».

Subito dopo Padre Pio impartiva la benedizione papale.

Dopo la benedizione doveva aver luogo il tradizionale bacio della mano, ma il Padre Provinciale ha annunziato che la cerimonia era rimandata al pomeriggio a causa della estrema stanchezza di Padre Pio.

In sagrestia e nei corridoi centinaia di uomini erano in attesa per salutare il giubilato, il quale è passato lentamente, curvo, pregando con voce stanca di aprirgli il passaggio e porgendo la mano a baciare.

Una sorpresa per tutti. Il Generale dell’Ordine dei minori Cappuccini, Padre Benigno di Sant’Ilario Milanese, arrivato poco prima da Foggia, dove era andato a presenziare una cerimonia in onore del Cardinal Massaia, è andato incontro a Padre Pio, il quale appena vistolo si è inginocchiato umilmente. Ma il generale si è affrettato a sorreggerlo e farlo rialzare e lo ha abbracciato. Tutti erano commossi per quell’incontro.

Ritiratosi Padre Pio nella sua cella, il Generale – un bel frate alto, da portamento energico e benevolo a un tempo ­– è sceso in chiesa dove, intorno all’altare maggiore, erano schierate una ventina di ragazze neoterziarie.  Dopo aver pronunziato un breve discorsetto, spiegando il significato e l’importanza della cerimonia, Il generale ha proceduto di persona alla vestizione.

Nel pomeriggio la funzione ha avuto particolari imprevisti che ne hanno accresciuto la bellezza. Beniamino Gigli, assieme a padre Tarcisio da Cervinara e padre Vittore da Canosa ha cantato le litanie di padre Galletti; poi da solo: «Panis Angelicus» di Cesar Frank, l’«Ave Maria» di Gounod, «Hostias et preces» di Verdi; e poi ancora «Laetamini in Dominum» di padre Galletti assieme ai suddetti padri.

Dopo la benedizione è incominciata la sfilata degli uomini per il bacio della mano. Non saprei come definire questa sfilata: piena, completa, commovente sono gli aggettivi che le si addicono. Nessuno mancava dei vecchi e dei nuovi frequentatori del convento. Tutti ci siamo ritrovati nell’onda che attendeva di filtrare davanti all’altare. Anziani e giovani. E l’uno vedeva nel volto dell’altro la stessa emozione, lo stesso sentimento di figliolanza. È la festa del nostro Padre, le sue nozze d’oro con Madonna Povertà. Cinquant’anni fa, vestendo l’abito cappuccino, non sapeva a che cosa lo destinasse il Signore. Eccolo tra i suoi figli, commosso e sorridente, che tende ad ognuno la mano, carezza qualcuno, sorride a qualche altro. I suoi figli gli passano davanti, reprimendo a stento la commozione. È la sua festa, è la nostra festa.

Così si è chiusa questa giornata. Da tutta Italia sono affluite migliaia di lettere e più di mille telegrammi. Centinaia di persone sono venute per l’occasione. Alcuni, disponendo solo di poche ore, sono scappati in tutta fretta dopo la cerimonia serale.