di Padre Luciano Lotti

«Manda la tua verità e la tua luce; siano esse a guidarmi, mi portino al tuo monte santo e alle tue dimore». (Sal. 42, 3). Un levita, esiliato nell’alta Galilea, invoca il Signore perché gli faccia giustizia, lo difenda dagli accusatori. È in un momento di solitudine estrema e domanda a Dio, in cui ha sempre confidato, perché proprio in questo momento di sofferenza sembra respingerlo e abbandonarlo. Poi finalmente nasce in lui una speranza e grida: «Manda la tua verità e la tua luce». La città santa non è più lontana, sente che presto rivedrà Sion e potrà contemplare lo splendore del Signore. Queste sono le riflessioni che introducono al versetto del Salmo 42 che quest’anno ci accompagna come tema dei nostri convegni: Salirò all’altare di Dio, al Dio che allieta la mia giovinezza. Dunque, queste parole (utilizzate dal rito romano come inizio della celebrazione eucaristica) hanno come preambolo la storia di un uomo sofferente, in esilio, che sente lontano perfino Dio, ma che non abbandona la sua speranza di poterlo finalmente andare ad adorare e lodare nella città di Gerusalemme.

È difficile spiegare come sia importante per un sacerdote che ogni giorno ne sente tante e spesso rimane senza parole, con un nodo alla gola perché non sa più come consolare, avere poi la certezza che c’è chi confida in Dio nonostante tutto. Quegli occhi, quelle mani nodose che stringono le mie sono la preghiera del povero: «Manda la tua verità e la tua luce». Nella nostra preghiera la verità e la luce di Dio sembrano personificarsi, sono il desiderio di una luce, sono i grani di un rosario che scorre lentamente tra le sofferenze della vita per rassicuraci che Dio, nonostante tutto, farà vincere la sua verità e la sua luce.

«Manda la tua verità e la tua luce» e il testo seguente, «salirò all’altare di Dio», ci suggeriscono di mettere a confronto i due verbi e i due soggetti: Dio che manda in dono la verità e la luce, e il salmista che, ricco della sua visita, sale l’altare di Dio. Davanti ai nostri occhi un modello, Padre Pio, che accoglie la visita di Dio, e poi sale l’altare offrendosi con Cristo come vittima per il bene dell’umanità. Ma il dono va capito, apprezzato, custodito, altrimenti diventa difficile, poi, salire l’altare di Dio, ecco perché Padre Pio raccomanda la «lettura dei libri santi».

Il 31 gennaio scorso, in occasione della catechesi settimanale, Papa Francesco ha commentato le parole del salmo 119: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino», e ha detto: «Come potremmo affrontare il nostro pellegrinaggio terreno, con le sue fatiche e le sue prove, senza essere regolarmente nutriti e illuminati dalla Parola di Dio che risuona nella liturgia?».

Solo con l’ascolto della Parola di Dio possiamo accogliere da Lui la luce e la verità senza disprezzarle o lasciarle disperdere tra i mille messaggi che ci giungono ogni giorno. Il Papa ci suggerisce un profilo alto che ben si associa alla spiritualità dei Gruppi di Preghiera: non un semplice ascolto della Parola, ma una Parola ricevuta e celebrata all’interno della liturgia. A volte viviamo la liturgia con una certa sofferenza, poco partecipi, concentrati più sulla nostra preghiera che su quanto viene detto e celebrato. Occorre fare uno sforzo: Padre Pio ci ha pensati come “Gruppi” di Preghiera, non come singoli figli spirituali, sparsi su tutta la terra che pregano ognuno per conto proprio; i Gruppi di Preghiera si devono impegnare a vivere la liturgia, l’ascolto della Parola e a nutrirsi dell’Eucarestia, nella propria realtà, possibilmente quotidianamente, vivendo insieme e celebrando insieme questo Dio che è verità e luce per il nostro cammino.

L’articolo completo è pubblicato nel numero di Marzo 2018 de “La Casa Sollievo della Sofferenza – Organo ufficiale dei Gruppi di Preghiera

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