Tutti siamo chiamati alla santità

di Don Pasquale Pio Di Fiore

É abbastanza diffusa la percezione del tempo che viviamo come un tempo privo di orizzonti. Nella mente di molti le tenebre sembrano assolutizzarsi, prendere il sopravvento sulla luce a tal punto da annullarne anche il ricordo, le speranze cedono il posto alle ansie e alle preoccupazioni per quello che sarà. Il futuro appare ora meno che mai controllabile: forse per questo incute abbastanza paura. Nel nostro mondo, dominato dall’ansia del controllo su tutto e su tutti e dalla falsa logica della tranquillità delle “carte in regola”, si apre ancora una breccia per l’indefinito che spaventa e che fa respirare incertezza. Sembriamo e viviamo da consegnati alla disperazione a tutti i livelli, deprivati – appunto – di orizzonti.

La parola “orizzonte” è bella perché racchiude in sé una varietà importante e indiscussa di significati: orizzonti sono gli spazi della conoscenza da allargare fin quando si può, orizzonti sono anche i limiti oltre i quali non è possibile andare, orizzonti sono anche le innumerevoli strade che accompagnano all’infinito. Senza orizzonti la vita non godrebbe di quella tensione buona che la spinge in avanti e noi uomini saremmo costretti a dire definitivamente il nostro addio ad ogni possibilità di miglioramento. È importante, quindi, sapere dove siamo diretti, verso che tipo di orizzonte ci muoviamo: ne va della qualità della nostra esistenza, dello spessore umano delle nostre relazioni. Se il fine incontro al quale procediamo è solo la morte, l’annichilimento di tutto, allora abiteremo uno spazio dominato dall’insana volontà di accaparrarci i posti migliori a discapito degli altri, vivremmo da dannati come in una continua gara per emergere e sentirci migliori di tutti, non saremmo più in grado di guardare bene in faccia alla nostra realtà fragile e bisognosa di conforto. Se sceglieremo la fine come il fine, sceglieremo anche di lasciarci vincere da quel meccanismo perverso di paura e di egoismo che ci fa schiavi giorno dopo giorno, anche senza la nostra piena consapevolezza. Se al contrario imbocchiamo una strada che ci porta ad un orizzonte dove lo scopo di tutto è l’incontro con lo Sposo, così come il Vangelo lo annuncia, allora la vita terrena avrà già il sapore della vita eterna e la resurrezione anticiperà i suoi effetti nelle scelte di vita buona che si assumeranno. E per noi cristiani una vita buona coincide con una vita santa, un’esistenza di perfezione nella misericordia (cf. Mt 5, 48): «i seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto». 

Allora è vero che al Signore appartiene questo orizzonte: “Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv 19, 2). Lui è lì ad indicarci quale sia la speranza della nostra chiamata (cf. Ef 1, 18), anzi, la certezza della nostra santità che è dono suo ma anche impegno nostro, impegno dove ciascuno esercita la propria inventiva e la propria creatività. È suo l’orizzonte più che il progetto: “progetto” può suggerire l’idea del preconfezionato, dello statico, del “già fatto” senza possibilità di appello. L’idea dell’orizzonte apre uno scenario nettamente più coinvolgente per i cristiani perché impegna tutte le loro facoltà in un cammino di costruzione sempre in divenire. Tutti siamo chiamati alla santità – lo sappiamo – e ognuno la realizza nella maniera sua propria, secondo la vocazione ricevuta. I santi, più che essere semplici modelli da imitare (non renderemmo infatti un buon servizio alla loro storia se li riducessimo a “santini”), ci fanno piuttosto – con le loro vicende – da segnaletica che ci sollecita incontro all’orizzonte che loro hanno raggiunto e che noi dobbiamo raggiungere se desideriamo godere appieno dei giorni che la Provvidenza ci accorda.

Non credo che i santi canonizzati desiderino essere imitati a tal punto da diventare loro fotocopie: sarebbe abbastanza spersonalizzante per noi che li guardiamo. Credo piuttosto che vogliano che i cristiani si realizzino originalmente tutti nell’amore, come hanno fatto loro, secondo la grazia ricevuta, veramente “come si conviene ai santi” (Ef 5, 3). Il loro esempio è come dito puntato verso il valore di Cristo, il solo che ci ha dato l’esempio più concreto di una vita compiuta nella fiducia e disposta a perdersi per il bene dei fratelli.

E la speranza di diventare anche noi come lui è molto più che una semplice aspettativa: le aspettative possono andare deluse se non rispondono all’oggetto dell’attesa, invece «la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5).

Se è vero che il valore di un uomo si commisura in base allo spessore delle sue attese, dobbiamo augurarci di portare nel cuore una costante nostalgia di beatitudine guardando al Signore, Santo dei santi, per essere persone nuove, rinnovate da capo a piedi dalla potenza della sua Parola e del suo Spirito di santità.