1959, un giovane Gherardo Leone si reca a Pietrelcina per descrivere l’atmosfera natalizia vissuta dal piccolo Francesco Forgione.
Visitando la casa natale di Padre Pio e la chiesa del quartiere “Castello”, ricostruisce e racconta le abitudini e tradizioni del periodo prenatalizio nella Pietrelcina di fine ‘800.

Poca luce entra nella cucina dal finestruolo a grata, senza imposta né vetro, posto in alto vicino alla cappa del camino. Altra poca luce viene dalla porta del retrocucina, quand’è aperta. Ma qui, al Castello, usava tenere la porta d’ingresso sempre spalancata, anche d’inverno. Tutt’al più, faceva da schermo ai passanti, e al freddo, la portella: cioè una mezza porta posta sulla soglia a guisa di parapetto.
La casa è disabitata e completamente vuota.
Non è difficile, in questo ambiente semplice modesto, ricostruire la vita della famiglia Forgione, ricomporre brano a brano le immagini sperdute dei loro Natali.

Il silenzio di queste due stanze ci aiuta a rievocare i lontani anni della fanciullezza di Padre Pio.

Rivediamo Zio Grazio, solido agricoltore, dallo sguardo vivo e acuto sotto le foltissime sopracciglia. Mamma Giuseppa, magra e svelta nella sua gonna a pieghe lambente le caviglie e nella camicetta di filo stretta alla vita da un corpetto elastico. Michele, il maggiore dei figli, asciutto e diritto, Francesco, dal volto bello e serio illuminato dagli occhi nerissimi e intelligenti. Le sorelline, nate a intervalli di due o tre anni l’una dall’altra. Quando Francesco aveva otto anni, e muoveva i primi passi tra i libri, Grazia, l’ultima dei cinque figli di Grazio e Giuseppa, succhiava ancora il latte o aveva appena smesso.

Alla metà di dicembre, cominciava a sentirsi per il paese il suono dolce delle zampogne. A tre a tre gli zampognari giravano le viuzze del Castello, fermandosi a suonare davanti alle edicole sacre o nella piazzuola della chiesa. Tutti commissionavano novene per sé o per gli altri.

Breve storia degli aerofoni a sacco | Circolo della ZampognaPer tutto il periodo prenatalizio risuonava qua e là per il paese la nenia delle zampogne. E tutte le mattine, ancora nel cuore della notte, i “castellani” si alzavano e andavano in chiesa. I ragazzi si gettavano giù dal letto senza rimpianti, rabbrividendo nell’aria pungente salivano alla chiesetta del Castello. In attesa della funzione, i ragazzi facevano il chiasso sul sagrato, mentre i chierichetti riempivano la sagrestia con la loro animazione.

Intanto, da tutte le parti arrivava gente alla spicciolata. Venivano su dalla stradetta, a gruppi due, di tre, di quattro, avvolti negli scialli e nei mantelli, seguendo la luce delle lanterne. E a guardare giù dal parapetto, della piazzuola, si vedevano qua e là, per tutti i sentieri della vallata, luci che avanzavano vacillando. Erano i contadini della Barrata, di piana Romana, della Difesa, del Monte, di tutte le località della campagna, che venivano anch’essi in chiesa per la novena. S’erano dovuti alzare assai per tempo, e, rigovernato il bestiame, s’erano incamminati alla volta del paese.

L’antivigilia di Natale, Giuseppa faceva le zeppole. Quel giorno, i bambini non si allontanavano molto dalla casa. Giocavano a rincorrersi nella strada. Si arrampicavano, svelti come capre, su per le rocce di Vico Storto Valle. Di tanto in tanto, ora l’uno ora l’altro, si affacciavano all’uscio della cucina per vedere a che punto stessero le cose. Finalmente, un fumo denso prendeva a uscire dalla cucina: zia Giuseppa aveva aggiunto un po’ di rami al fuoco per avvivare la fiamma. I bambini sospendevano istantaneamente il giuoco e si precipitavano dentro. Acquietatisi, se ne stavano seduti davanti al focolare, assistendo agli armeggii della madre. Zia Giuseppa metteva sul treppiede una padella piena di olio; e quand’era ben caldo, prendeva a deporvi dentro le zeppole. Non tutti, al Castello, potevano fare le zeppole. Perché non tutti avevano olio proprio, o i mezzi per comprarlo.

I Forgione erano tra i fortunati: il loro piccolo oliveto del Monte li provvedeva di olio per tutta l’annata. Ma facevano partecipi del loro benessere anche i vicini. Piatti di zeppole venivano regalati da zia Giuseppa ai parenti e agli amici. Così il Natale era veramente una festa della bontà e della fratellanza.

Il 24 dicembre, zio Grazio si ritirava dalla campagna più presto del solito, portando un fascio di rami ben secchi. All’Ave Maria, tutta la famiglia si riuniva attorno al focolare. Nessuno si azzardava, a quell’ora, a starsene fuori di casa. Le strade erano deserte, sebbene fosse appena sera. L’intero paese sembrava abbandonato, immerso nel buio più fitto. Zio Grazio poneva un ceppo sotto la cappa del camino, lo deponeva tra la brace rossa che subito cominciava a intaccarlo.

Tutta la famiglia s’inginocchiava davanti al focolare. Con la mano tesa verso il fuoco, zio Grazio recitava qualche Padre Nostro e qualche Ave Maria, a cui i familiari rispondevano tutti insieme. In tutte le case, in quello stesso momento, si faceva altrettanto. Da tutti i comignoli uscivano spirali di fumo. Da tutte le porte filtrava un filo di luce.

Dopo il cenone, i grandi si preparavano ad andare in chiesa. Ma in casa Forgione, anche i più piccini rimanevano alzati fino alla mezzanotte. Fin quando il Bambino non era nato, la madre non li mandava a letto. Qualche volta il camino faceva fumo. I bambini rimanevano lì, tra il fumo che arrossava gli occhi, ad attendere che le campane suonassero.

Verso mezzanotte, la chiesetta del Castello era gremita di folla. Le donne sedevano sulle sedie che s’erano portate da casa, gli uomini stavano in piedi ai lati dell’altare, o in fondo alla chiesa. I preti salmodiavano.

Finalmente, dal piccolo coro di legno in fondo alla chiesa, si levava il suono dell’organo. Le campane si mettevano a suonare. Il Bambino nasceva. Il parroco lo portava al presepe, lo deponeva sulla paglia. Mentre il popolo cantava: «Tu scendi dalle stelle».