La penna di Gherardo Leone ci fa rivivere l’atmosfera della Messa celebrata da Padre Pio, alla vigilia del Natale del 1950

Il disco d’argento della luna è ancora all’occidente quando salgo il breve pendio che mi porta al Convento. La notte è chiara, senza vento e piena di stelle.

Il convento è immerso nel silenzio, ma la chiesa è piena di gente. I banchi, la piccola navata, il presbiterio, la sagrestia sono gremiti di una folla in attesa. La penombra del coro invita a meditare. È suggestivo questo ritrovarsi di notte fra le mura di un antico convento: è come una specie di convegno misterioso. Pochi uomini nei banchi che conoscono il salmodiare dei frati, lo strepito della disciplina, il tintinnio del rosario. Pensieri d’una pace profonda: un abisso al di là del quale balugina il mistero.

Sfoglio un breviario dalle pagine tarlate e ingiallite e mi sento in un mondo nuovo in cui parlano i Profeti dell’Antico Testamento ed i Santi dell’umanità rinnovata.

Uno alla volta i frati aprono la porticina, si genuflettono baciando la terra, pendono posto. Per alcuni minuti un silenzio profondo grava nel coro, poi una nenia si leva improvvisamente nella notte: è una pastorale dalle modulazioni antiche, d’una dolcezza che penetra dell’intimità dell’anima.

Il pendolo batte le undici. Incomincia un salmodiare lento. È il preludio. I profeti annunziano la venuta del Messia e la voce commossa dell’evangelista narra i precedenti storici della Nascita.

I versetti s’alternano: è un interrogare ansioso, un rispondere concitato e stupito. E a poco a poco le modulazioni diventano più lente e dolci, e il salmodiare uguale e ritmico si tramuta in un canto tremante. Perché tutto l’universo è in attesa, sospende il fiato, indugia pensoso. E le voci tremule dei frati riflettono l’ansia di tutta l’umanità.

Intanto la porta del coro s’è aperta ed una folla di uomini è entrata gremendo ogni angolo. I sacerdoti indossano i paramenti sacri e i terziari le tonache. Vengono distribuite candele, s’accendono luci.

Mentre il salmodiare si fa più sospirante i frati escono dai banchi e si dispongono attorno al leggio. E ad un tratto vengono suonati i campanelli ed accese tutte le candele. Il Bambino Gesù, in una culla adorna, viene deposto sul leggio. Scoppia un tumulto festoso di canti: la Chiesa militante manifesta i giubilo per la nascita dell’Atteso.

Una processione si snoda attraverso i corridoi.  I sacerdoti, solenni nei paramenti bianchi, attorniano Padre Pio che ha nelle mani il Bambino. Il suo passo è lento, pieno di riguardo per il tesoro che ha nelle braccia e la sua voce è tremula e dolce come il belato di un agnellino.

Una doppia fila di uomini precede, ognuno con un candela, ed altri fanno ala negli atri. È suggestivo quell’andare lento lungo i corridoi, quello svoltare, quel discendere le scalette che portano nella sagrestia. Mi sembra d’essere un cristiano antico che cammina nei sotterranei di San Callisto.

Le cento luci delle candele gettano sule volte sprazzi di chiarore irreale ed i pensieri scritti sulle celle risaltano nel loro sublime significato.

Eccoci in chiesa, davanti all’altare adorno di fiori e scintillante di luci. Il corteo sfila lentamente. Quando Padre Pio appare nel vano della porta della sagrestia, la chiesa si anima tutta: è una visione quasi trasumana, più radiosa di tutte le luci. Con il volto soffuso di una dolcezza divina, Egli sale i gradini dell’altare e depone il Bambino sulla mensa.

Il “Te Deum” si leva dalla folla. Uomini, donne, anziani: tutti guardano fisso all’altare, sul quale il piccolo Gesù sorride nella sua culla di vimini.

Le anime sono piene di dolcezza. È uno dei pochi momenti in cui ci sentiamo tutti indistintamente eguali dinanzi al Re del Cielo.

Eccoci qui tutti, ricchi poveri, ad adorare Dio in sembianze d’uomo. Le differenze di censo, le rivalità, i contrasti d’interesse non esistono in questa notte sacra. Il deputato sta vicino all’operaio, spalla a spalla, regge come lui la candela accesa, canta lo stesso inno. Domani egli siederà nel Parlamento e tratterà con gli uomini del Governo, mentre l’operaio scenderà nelle viscere della terra.

È la fraternità rivelata da Cristo e suggellata col sangue del martirio che ancora oggi è viva e palpitante: il cemento della società dei fedeli, la base sicura e incrollabile della Chiesa Romana. Ed è consolante il pensiero che quella libertà e fraternità che politicamente s’è affermata col sangue delle rivoluzioni, moralmente sia una conquista della Chiesa Cattolica, scaturita dalla parola dolce di Gesù. E certamente il mondo moderno non è che uno stadio dell’evoluzione del messaggio di Gesù. 

Così tutta la storia gravita intorno a Cristo. La storia antica prepara la Sua venuta. Quella posteriore svolge il Suo insegnamento. E forse il corso dei secoli avrà fine quando l’ultima sillaba del messaggio di Gesù sarà stata concretizzata e il mondo veramente sarà divenuto il Regno di Dio sulla terra.

È cominciata la Messa di mezzanotte. Intorno all’altare una folla di anime. Le parole del Padre sono chiare e vibranti, ma la sua anima è penetrata in un mondo precluso ai sensi.

Quale sarà il tenore dei suoi colloqui con l’Invisibile? Non so. Nessuno forse lo sa. I movimenti improvvisi, i sospiri, le lagrime, le contrazioni delle palpebre, il moto appena percettibile delle labbra sono misteri dolcissimi che soltanto la morte potrà sciogliere.

Per quattro ore e mezza Egli vive una passione silenziosa e cento sguardi amorosi lo seguono, cento anime innamorate si sforzano si prendere parte al suo sacrificio.

Così, sull’altare adorno di fiori, Egli rivive il dramma di Gesù: la malinconia della gloria, la tristezza dell’abbandono, lo struggimento del Calvario.

E le creature assiepate ai suoi piedi sono i discepoli delle ore tristi, i testimoni silenziosi della Sua sofferenza.