di Don Pasquale Pio Di Fiore

Ho finito di leggere da poco un interessante volumetto, uscito dalla penna dell’Arcivescovo di Modena – Nonantola, Monsignor Erio Castellucci, dall’evocativo titolo: “Faccia a faccia. Spunti per comunità dal volto igienizzato” (Cittadella editrice, p. 80).

Tra la selva delle pubblicazioni (spesso poco utili e ridondanti) che spuntano in questo tempo di pandemia mi è certamente risultato tra i più consolanti, sia perché non vuole essere un ricettario di soluzioni preconfezionate ed altamente anacronistiche ai problemi di questi tempi difficili, sia perché è stato pensato come una benevola provocazione – lo ammette lo stesso autore nelle pagine dell’introduzione – rivolta a quelli che sono ancora alla ricerca di qualche spiegazione razionale che attenui e renda più sopportabile la drammaticità di questi giorni.

L’attenzione è tutta centrata sul volto e sulla sua intensità d’espressione. Il volto è il nostro principale biglietto da visita: dice immediatamente il nostro stato d’animo, fa conoscere all’esterno quanto si nasconde e si matura dentro. Bisogna essere veramente allenati per poter sfuggire alla sincerità dei volti. Non si possono mascherare con facilità, sotto le sembianze di un volto finto, i sentimenti che proviamo di fronte ad una situazione che stiamo vivendo, piacevole o meno che sia.

Fino a qualche mese fa eravamo abituati a dare per scontato il fatto di poterci vedere – appunto – faccia a faccia, senza mediazioni, liberi di poter parlare ed interagire come meglio si credeva. Da qualche tempo però una varietà sterminata di mascherine costringe la nostra faccia a velarsi dal naso in giù. Il baricentro della comunicazione si è spostato sugli occhi. Pensiamo a quando tutto questo sarà finito, al momento in cui finalmente appenderemo nell’armadio dei brutti ricordi le nostre mascherine…come appariranno i nostri volti? Quale eredità avremo stampata in faccia? I nostri occhi riusciranno ancora ad esprimere accoglienza e solidarietà oppure mostreranno il lato arcigno di noi, quello diffidente e scostante?

In quattro momenti monsignor Castellucci ci aiuta a compiere un percorso tra i volti protagonisti di questa stagione pandemica.

Il primo volto é quello del coronavirus, affacciatosi paurosamente ormai un anno fa alle porte delle nostre case e sconvolgendone i ritmi e i rituali. Nemmeno tra le mura delle nostre abitazioni ci sentivamo più al sicuro. Ognuno di noi rappresentava una potenziale insidia per l’altro e pian piano, quasi senza accorgercene e come affetti da una lebbra sociale, perdevamo pezzi di umanità. In fondo, la pandemia non ha fatto altro che portare alla luce ed acutizzare un’altra pandemia sociale, molto più subdola, che è quella dell’indifferenza, del sospetto, dell’affarismo sfrenato che ammorbava il pianeta con la complicità di molti cristiani. La debolezza e l’impotenza di fronte al virus ha svelato anche la poca capacità dell’uomo di far fronte a problemi che da sempre ci sono e che poco coscienziosamente sono stati relegati nel dimenticatoio collettivo. Ora che siamo veramente tutti sulla stessa barca, come ci ha ricordato il Papa il 27 marzo 2020, bisogna avere il coraggio di guardarci in faccia; anzi, di guardarci dentro, proprio per creare una solida alleanza, fatta di attenzione e di rispetto, e per ritornare a considerare “beni essenziali” non solo quelli che afferiscono alla parte materiale di noi ma anche quelli che ci rendono persone autentiche .

Molti nervi sono stati scoperti da questa pandemia e altrettanti nervosismi sono andati crescendo. L’autore ammette che «il coronavirus ha svelato tensioni, dissidi e debolezze che di solito sono “coperte” dalle attività e dalla ripartizione degli spazi e delle competenze, ma che in questa occasione hanno creato anche dei cortocircuiti. Si sono riaffacciate tutte le “anime” del cattolicesimo, comprese quelle estremiste» .

È doloroso constatare che quella che avrebbe potuto essere un’occasione di riscatto per la nostra umanità si sia invece tradotta in rivalsa o in pretesa di avere la parte migliore di ragione. Allora è vero, come ha fatto notare il Papa, che «peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla» .

Cosa permetterà alle nostre comunità di ricompattarsi per ritrovare il loro volto cattolico, la loro voglia di unità oltre le differenze? Ci aiuterà il ritrovarci assieme nel giardino del sepolcro vuoto, al mattino di Pasqua. È da quel punto, tanto caro alla nostra memoria comune di cristiani, che potremmo riprendere il cammino verso relazioni “sanificate”, lasciandoci pulire la vita – oltre che le mani – dal vento dello Spirito.

Riconoscendoci tutti fratelli nell’unica Chiesa, richiamati dalla Parola e sostenuti dall’Eucarestia, ricominceremo ad avvertire il bisogno di convertirci, di rivedere il nostro modo di stare insieme, di rinnovare l’espressività delle nostre comunità perché appaiano case fatte di volti buoni per chiunque. Dallo scorso 14 febbraio i vescovi italiani hanno permesso che si tornasse a scambiare il segno di pace, questa volta però sotto forma di uno sguardo. Nelle nostre navate ancora riempite di mascherine, le nostre facce delegano agli occhi lo scambio dell’augurio messianico. La pace passerà così attraverso uno sguardo, addomesticato da questo periodo a trasformarsi in luogo di benevolenza e di speranza.